Vimini in marmo: dettagli in vimini alla mostra dei Marmi Torlonia ai Musei Capitolini, Villa Caffarelli
La proroga dell’apertura fino al 9 gennaio 2022 della bella mostra dedicata agli antichi Marmi Torlonia, allestita presso i Musei Capitolini di Roma nello spazio di Villa Caffarelli, consente al pubblico ancora per numerose settimane di godere della visione di 90 delle 620 sculture antiche che compongono la prestigiosissima collezione. Si tratta di centinaia di opere acquisite dalla storica famiglia durante il corso del XIX secolo, marmi di eccezionali valore e bellezza entrate a far parte della raccolta sia tramite compravendita sia grazie ai rinvenimenti provenienti dagli scavi archeologici condotti nei terreni di proprietà della famiglia, dislocati fra Roma e dintorni.
Una raccolta che è stata giustamente definita “collezione di collezioni”, poiché nel giro di otto decenni (dal 1800 al 1884) i Torlonia hanno proceduto all’acquisizione sia di singoli esemplari, sia di intere raccolte già costituite. Le quali, a loro volta, erano frutto di precedenti fusioni di altre raccolte, e così via dicendo in un complesso ed affascinante intreccio di proprietà a ritroso nel tempo. Si tratta di serie prestigiose ed uniche, da quella del Marchese Vincenzo Giustiniani (1564-1637), mecenate della prima età barocca per il quale lavorò anche GianLorenzo Bernini, a quella del prolifico artista e restauratore Bartolomeo Cavaceppi (1717-1799), attivissimo nel panorama artistico e commerciale della Roma ‘700esca, quando la città diviene una delle mète privilegiate dei Grand Tour dei facoltosi (e non di rado regali) viaggiatori del tempo; i laboratori del Cavaceppi, collocati fra via del Babuino e via dei Greci, erano all’epoca di fatto veri e propri musei, con sale per l’esposizione animate al contempo dal costante lavoro degli adiacenti laboratori in cui erano all’opera i numerosi scalpellini e artigiani del marmo che affiancavano l’artista, tutti intenti a restaurare ed integrare le opere antiche (ma noi useremmo più modernamente ed appropriatamente il verbo “alterare”), e a trarne copie.
Da decenni le comunità degli studiosi e degli appassionati aspettavano di poter vedere i marmi che i Torlonia custodivano, in forma strettamente privata, all’interno delle mura dei propri palazzi. Le opere in oggetto erano visionabili (con difficoltà), solo attraverso il catalogo curato nel 1884 da Carlo Ludovico Visconti, I monumenti del Museo Torlonia riprodotti con la fototipia, interessantissimo “progenitore” dei moderni cataloghi di arte, esposto in una teca nell’ultima sala della mostra.
L’esposizione, sebbene proponga allo sguardo dei visitatori un sesto circa della raccolta, offre comunque una consistente idea della profonda vastità che caratterizza questo patrimonio artistico e culturale preziosissimo, per quantità e per qualità delle opere e, non da ultimo, per modalità di formazione.
E fra i 90 marmi esposti (sculture, coppe, sarcofagi, ritratti…) ecco spuntare qua e là alcuni cesti.
Presso la Sala 2, fra le opere provenienti da alcune delle proprietà extraurbane dei Torlonia (site fra l’attuale Fiumicino, le vie Appia e Latina, e altrove) osserviamo il Sarcofago del centurione Lucius Publius Peregrinus (240-250 d.C.): in prossimità dell’angolo destro uno dei personaggi sta seduto sopra uno “sgabello” (azzardiamo questa definizione) in vimini: foto 1
foto 1
Inoltre, lungo il fregio che adorna il coperchio del medesimo sarcofago spiccano due contenitori assai simili a cesti, collocati fra due pavoni e ricolmi di ubertosi frutti.
(foto 2, 3 e 4).
foto 2
foto 3
foto 4
Incontriamo i successivi cesti fra i marmi provenienti dalla collezione Cavaceppi, esposti anche nella Sala 4: qui, nella sua solida bellezza statuaria, si erge la cosiddetta Cariatide Torlonia del tipo Eleusi (40-50 d.C.) (foto 5 e 6). Si tratta di una fanciulla che porta sul capo, reggendolo con entrambe le mani, il largo cesto su cui si ponevano sia le offerte rituali sia gli strumenti per officiare il medesimo rito. La giovane è una canefora, cioè colei che durante le processioni reca il cesto (dal greco kàneon, specificatamente la cesta per gli oggetti del culto, da cui anche l’italiano “canestro”, e fero, “portare”) gli oggetti ed offerte per le cerimonie religiose. La struttura fisica della fanciulla è compatta e solida come quella di una colonna, ed il cesto sul suo capo è un coronamento simile ad un capitello; in effetti tali sculture spesso svolgevano una funzione non solo ornamentale ma anche strutturale, quella appunto di colonna con capitello, al tempo stesso funzionale architettonicamente e allusiva al rito per la preparazione del quale la presenza della canefora è di fondamentale importanza. Il cesto, frutto del lavoro della bottega ‘700esca del Cavaceppi, è perfetto, e rifinitissimo.
foto 5
foto 6
Una rapida digressione etimologica, dal greco antico: la kànna indica la canna, ma anche la stuoia di cannucce, o la siepe o il recinto di canne; kànes è la sola stuoia; il kanetopoiòs è il fabbricante di stuoie; ed infine kànnabis è la canapa e, per estensione, le vesti realizzate con tale fibra vegetale.
Infine nella medesima sala è esposto il Sarcofago con trionfo indiano di Dioniso (160-180 d.C.), sul cui lato corto è rappresentata una scena di sacrificio in cui, accanto al satiro impegnato nel rito, ecco un serpente che, spuntando con la testa, scoperchia un contenitore assai simile ad un cesto. È un tema denso di contenuti, quello del trionfo orientale della divinità in questione, al quale sono stati dedicati ampi studi. Noi amanti della cesteria ci limitiamo qui a segnalare il cesto, il serpente (animali dalle molteplici valenze simboliche), ed il rito che, ipotizziamo, avesse funzione benaugurante tanto in relazione al corteo trionfale divino, quanto, evidentemente, in relazione al viaggio ultraterreno compiuto dal defunto le cui spoglie erano contenute nel sarcofago. Foto 7 e 8
foto 7
foto 8
I cesti per così dire “presenti in mostra” finiscono qui. Non una quantità ingente, certamente, eppure le loro sole presenza e bellezza già appagano il piacere di visitare una bella mostra e, perché no, sollecitano curiosità e volontà di approfondire. Stimoli che certamente non mancheremo di cogliere, a breve ancora su queste pagine.
Chiara Morabito