Anche nella poesia del grande poeta e drammaturgo andaluso Federico García Lorca giunchi, arbusti e fibre vegetali si allacciano fra loro in un bellissimo intreccio poetico.
Lorca nasce nel 1898 a Fuente Vaqueros, nella provincia di Granada, nel 1898; da giovanissimo compie, fra l’altro, studi musicali, assorbendo la musicalità e il lirismo che ritorneranno poi nelle suoi versi, spesso concepiti per essere accompagnati dalla chitarra. Nel 1919 si trasferisce a Madrid per proseguire gli studi, un impegno intellettuale reso ancora più fruttuoso grazie all’incontro con artisti quali Luis Buñuel, Salvador Dalì, i poeti e scrittori Rafael Alberti, Antonio Machado, Juan Ramón Jiménez. Nel 1920 esordisce in qualità di regista teatrale, e nel 1922 partecipa, insieme al musicista Manuel de Falla, al festival del Cante Jondo, il concorso di canto flamenco, arte e letteratura a cui presero parte importanti nomi del panorama culturale spagnolo dell’epoca. Lorca ottiene successo e riconoscimenti; poco dopo, nonostante una crisi creativa e sentimentale, decide di partire verso un altrove rigenerante, e nel 1930 è a New York e a Cuba.
Al suo rientro in Spagna, poco dopo, fonda la compagnia teatrale La barraca: il successo è definitivo. Ma il clima politico sta per mutare, nel 1936 il generale Francisco Franco con un colpo di stato prende il potere. Lorca, sostenitore del Fronte Popolare, ormai oppositore del regime, viene arrestato e fucilato presso il villaggio di Víznar il 19 luglio 1936. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.
L’amore di Lorca per la natura e per la vita è intenso, appassionate, totalizzante: dalla goccia di rugiada alla nube, dalla seducente carnalità del corpo femminile (che ammira, nonostante avesse avuto relazioni sentimentali anche omosessuali) alla brutale corporeità della morte (mirabile, in tal senso, il celebre LLanto per la morte del torero Ignacio Sánchez Mejías), la celebrazione della natura e della sua Spagna è ovunque, nei colori, nei profumi, nei suoni.
E anche nella vegetazione “da intreccio”: nei giunchi, nelle canne, e nei rami non meglio definiti, ma spesso citati.
Nel brano A Carmela, la peruana, poesia d’amore ricca di metafore per la peruviana Carmela, tesa, a tratti drammatica, intensa, intravediamo un desiderio che non trova soddisfazione, mentre «mi sangre teje juncos de primavera», “il mio sangue tesse giunchi di primavera”.
In Gazzella dell’amore meraviglioso (da Divan del Tamarit, 1936) l’amata è «junco de amor».
«Myrtos de luna» sono, in Arbolé arbolé (dalla raccolta Canciones, 1921-24), dono d’amore di un giovane ad una fanciulla.
In Paesaggio (da Poema del cante jondo, 1921), leggiamo la descrizione di un uliveto sul quale si addensa un cielo plumbeo, carico di pioggia, mentre «tiembla junco y penumbra», “tremano giunco e penombra”.
Da Libro de poemas (1921), El concierto interrumpido è un paesaggio palustre notturno, immerso in un improvviso, temporaneo silenzio: «las acequias protestan sordamente,/arropadas con juncias […]», “i canali protestano sordamente,/vestiti di giunchi».
Ed infine la dolce, sottile e quasi ironica rassegnazione in La casada infiel (La sposa infedele) il protagonista, maschile, racconta in prima persona l’incontro struggente con una bellissima fanciulla, tanto più seducente quanto più proibita: poco prima dell’inesorabile saluto «Le regalai un grande cestino/ di raso paglierino,/ e non volli innamorarmi/ perché avendo marito/ mi disse che era ragazza/ mentre la portavo al fiume».
Chiara Morabito