Il letterato Cesare Ripa nasce a Perugia nel 1555 da una famiglia benestante; giunto a Roma nel 1578 (ivi morirà nel 1622) è introdotto presso la corte del cardinale Anton Maria Salviati in qualità di trinciante, letteralmente “tagliatore di vivande”, cioè l’addetto al taglio del cibo destinato ad essere consumato durante il banchetto. Il perfetto trinciante doveva essere agile e robusto, di bell’aspetto, in grado di rimanere in piedi a lungo (cioè almeno per tutta la durata del banchetto, che spesso durava l’intera giornata) e di tagliare le vivande senza toccare né sporcare la tovaglia. Tutt’altro che secondaria, dunque, era la robustezza fisica, visto il vigore che era necessario per tagliare, disossare, e talvolta macellare e squartare. Altresì un bravo trinciante doveva essere un abile intrattenitore ed un affabile conversatore; dunque persona di fine cultura, dalle indiscutibili doti dialettiche e dalle preziose qualità umane quali amabilità, cortesia, ed ironia. Quello del trinciante, pertanto, era un ruolo di vero e proprio prestigio, poiché il banchetto era uno dei momenti più importanti della vita sociale, solenne e coreografica ostentazione di potere da parte di chi poteva permettersi di offrire prelibatezze in grande quantità ai propri numerosi ospiti. Evidentemente queste qualità il Ripa le possedeva tutte, e certamente quella della raffinatezza intellettuale doveva essere fra le più evidenti, data la vasta erudizione che emerge dalle pagine della sua Iconologia, di cui parleremo a breve.
La formazione e la carriera del Ripa, dunque, si inseriscono nel contesto della Roma del secondo ‘500, animata dalla vivacità mondana e culturale delle corti nobiliari e della curia pontificia.
Durante gli anni romani il Ripa scrive la sua celebre Iconologia, opera in cui elenca alfabeticamente molteplici categorie di concetti (mesi dell’anno, fenomeni astrologici, luoghi geografici, discipline di studio, vizi e virtù, stati d’animo, e molto altro) quasi tutti accompagnati dalle rispettive rappresentazioni allegoriche, cioè “traduzioni” in disegni dalle forme umane, perlopiù femminili, accompagnati da relativa spiegazione testuale.
L’opera apparve in sei edizioni fra il 1593 e il 1625, l’edizione più ampia comprende 152 xilografie tratte da disegni del pittore Giovanni Guerra e di altri artisti.
L’opera era un vero e proprio manuale pronto all’uso destinato ad artisti e letterati, un prontuario di immagini che incontrò grandissimo successo per tutto il secolo XVII per cadere poi in disuso nel ‘700, quando la compostezza e il rigore dell’incipiente Neoclassicismo non lasciavano più spazio alla sovrabbondanza degli attributi decorativi tipica degli stili tardorinascimentali in cui l’Iconologia si può collocare.
Per completezza e complessità, per ricchezza di immagini e di concetti, l’Iconologia è tutt’oggi considerata un pilastro della cultura figurative rinascimentale e barocca.
E veniamo a noi: alcune delle personificazioni ripiane recano cesti. Il Ripa non si addentra in dettagli relativi al materiale di cui i cesti sono fatti, né alla loro forma, né approfondisce altri aspetti. I cesti sono appunto solo uno dei molteplici attributi iconografici di cui la personificazione in questione si può fregiare, affinché il significato ne sia completato: ad esempio, l’Aurora è una fanciulla che reca fiori in un cesto, mentre sorregge anche una fiammella ed indossa un abito giallo.
Ciò che è interessante è constatare la presenza del cesto: a cavallo dei secoli XVI e XVII il cesto è evidentemente un oggetto di uso quotidiano ampiamente assorbito, utilizzato e diffuso, certamente presso gli strati sociali popolari ma evidentemente riconoscibile e condiviso anche dai ceti più alti.
Leggiamo nel dettaglio la descrizione delle quattro allegorie in cui Ripa parla di cesti:
ABONDANZA. DONNA, in piedi, vestita d’oro, con le braccia aperte, tenendo l’una, & l’altra mano sopra alcuni Cestoni di spiche di grano […].
AVRORA. GIOVANETTA alata, di color incarnato con manto giallo; nel braccio sinistro tiene un Cestello pieno di varij fiori, & nella stessa mano tiene una facella accesa, & con la destra sparge fiori.
Il cesto è dunque associato a concetti ed immagini positive di prosperità e fertilità, nascita e luminosità, contenitore non vuoto bensì pieno, che reca frutti e fiori, a mo’ di cornucopia.
GUSTO. DONNA, che nella destra tenga un Cesto di diversi frutti, & nella sinistra un Persico. […]
TEMPERANZA. BELLA Giovane, vestita di Tela d’argento, con Clamideta d’oro sopra la Testa, per acconciatura porterà una Testudine, nella destra mano un freno d’argento, & nella sinistra un Ovato, ove vi sia dipinto un paro di Ceste, con un motto, che dice Virtutis instrumentum.
In questo caso i cesti sono assimilabili ai piatti di una bilancia, contenitori atti a misurare in funzione di un giudizio (spesso morale), strumento utilizzato per valutare la presenza o meno di virtù.
La lettura delle icone ripiane è divertente, curiosa, nonostante il passare dei secoli non ha perso in originalità, curiosità, varietà. In mezzo a tutto ciò, fa piacere incontrare anche i cesti.
Chiara Morabito
Edizione moderna di riferimento: Cesare Ripa (1992), Iconologia, a cura di Pietro Buscaroli, prefazione di Mario Praz, TEA, Milano 2008.